Gigi Buffon campione del mondo

Buffon si racconta: “Neymar meritava cinque Palloni d’Oro, ma non ne ha vinto nemmeno uno”

L’Elogio a Neymar e il Ritratto di una Carriera Straordinaria


Gianluigi Buffon, icona indiscussa del calcio mondiale, ha recentemente condiviso riflessioni sulla sua carriera, soffermandosi su un ex compagno di squadra che, a suo avviso, avrebbe meritato di vincere almeno cinque Palloni d’Oro. Nel corso di un’intervista al Corriere della Sera, il portiere italiano ha parlato del suo percorso, delle sfide affrontate e di un talento brasiliano che, pur avendo brillato a livello internazionale, non ha mai ricevuto il massimo riconoscimento individuale.

Buffon e Neymar: “Un giocatore che meritava di più”

Quando gli è stato chiesto chi fosse il miglior giocatore con cui o contro cui abbia mai giocato, Buffon ha risposto senza esitazioni: “Neymar. Per il talento che possiede e per la persona che è, avrebbe dovuto vincere cinque Palloni dOro”.

Nonostante i successi in Europa, Neymar è spesso stato oggetto di critiche, e il suo trasferimento all’Al-Hilal nel 2023 per 75 milioni di sterline ha segnato una svolta nella sua carriera, allontanandolo dai riflettori del calcio europeo.

Buffon, il lato oscuro del ruolo

Buffon ha colto l’occasione per riflettere sulle difficoltà insite nel ruolo del portiere, descrivendolo come un mestiere “masochista”. “I campi su cui mi allenavo da giovane erano duri come il cemento. I portieri della mia generazione hanno mani sfregiate, fianchi doloranti e segni di innumerevoli cadute”, ha raccontato.

Gianluigi Buffon impegnato a salvare la porta della Juventus

Nonostante le difficoltà, Buffon ha sempre dimostrato una straordinaria resilienza, che lo ha portato a esordire in Serie A a soli 17 anni con il Parma, sfidando il Milan capolista. “C’è qualcosa di un po’ folle in chi sceglie questo ruolo. Devi essere insolente e sicuro di te per resistere alla pressione”.

Il lato umano di una leggenda: la lotta contro la depressione

Tra i momenti più toccanti dell’intervista, Buffon ha parlato apertamente della sua battaglia contro la depressione. “Nel 2003, dopo due scudetti consecutivi con la Juventus, ho toccato il fondo. Sentivo un vuoto dentro, dormivo male e avevo attacchi di panico”, ha confessato.

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Un episodio emblematico si verificò durante una partita contro la Reggina, quando Buffon fu colpito da un attacco d’ansia in campo. “Pensavo di non poter giocare. Ma sapevo che se non fossi tornato tra i pali, forse non avrei più avuto il coraggio di farlo”.

Grazie al supporto dello staff tecnico e a una decisiva parata in quella partita, Buffon superò momentaneamente la crisi, ma il percorso verso la guarigione fu lungo e complesso.

Buffon e i “grandi se” della carriera

Buffon ha anche rivelato quanto fosse vicino a un trasferimento al Barcellona, che gli avrebbe permesso di giocare al fianco di Lionel Messi. “È stato un momento di forte indecisione, ma un semplice gesto – passare davanti al casello del Parma mentre ascoltavo Bella di Jovanotti – mi ha fatto scegliere di restare in Italia”.

Un’altra tematica toccata è stata la sua passione per il gioco d’azzardo, un aspetto della sua vita che Buffon ha sempre tenuto sotto controllo evitando scommesse sul calcio.

Leadership e stili manageriali: i grandi tecnici della sua carriera

Nel corso dei suoi 28 anni di carriera, Buffon ha lavorato con allenatori di ogni tipo, dai rigorosi Fabio Capello e Antonio Conte ai più flessibili Massimiliano Allegri e Carlo Ancelotti. “Ogni tecnico mi ha insegnato qualcosa di unico, ma ho sempre apprezzato chi sapeva bilanciare disciplina e umanità”, ha sottolineato.

Antonio Conte, ex giocatore della Juventus e allenatore del Napoli

Un’eredità che va oltre il calcio

Con oltre 1.000 partite disputate e una Coppa del Mondo sollevata nel 2006, Buffon ha lasciato un segno indelebile nella storia del calcio. La sua capacità di affrontare successi e difficoltà con la stessa determinazione lo rende una figura iconica, non solo per le sue abilità tra i pali, ma anche per la sua umanità.

Buffon ci ricorda che anche i più grandi campioni sono esseri umani, capaci di lottare contro le avversità e uscire più forti di prima. Un simbolo eterno per il calcio italiano e mondiale.

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